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Intervista
Domenico Ottaviano
Trabucco Ottaviano

Sono Domenico Ottaviano, ho 24 anni, e da sempre vivo sul Gargano, a Peschici. Attualmente, dopo un anno in Australia, mi sono rimesso sui libri, e mi  sono iscritto al corso magistrale di scienze e tecnologie alimentari dell’Università di Parma. Università dove mi sono già laureato ad Ottobre 2012 nel corso di laurea triennale in Scienze Gastronomiche, con una tesi sull’uso sicuro dell’acqua di mare in cucina.  Oltre a studiare passo le mie meravigliose estati a pescare sul trabucco di famiglia, e a cucinare con grande passione nell’annesso ristorante.  Ho un passato recente da giornalista per un quotidiano regionale e adesso mi occupo dell’espansione social e cerco di dare una forte impronta ecologica del ristorante di famiglia e della promozione di questo magnifico territorio per quello che mi compete. Credo in un Gargano migliore, ed in un Sud protagonista, motivo per cui ho raccontato nel bene e nel male il mio pezzo di costa agli amici di Apulia Slow coast.
Con Michele abbiamo parlato di trabucchi, imponenti giganti di legno propri delle coste del Gargano, che da oltre un secolo vengono utilizzati per una singolare e sostenibile tipologia di pesca. A Michele, ho spiegato come si compone e come funziona un trabucco: ha un enorme palchetto di legno e quattro lunghe antenne sostenute da alti montanti di quercia. Con due possenti argani e un gioco di funi e carrucole viene calata un enorme rete rettangolare di 250 metri quadri sul fondo e si pratica una pesca a vista. Uno dei pescatori infatti sale e passa intere giornate sull’antenna di ponente per osservare le limpide acque sottostanti alla ricerca del banco di pesce. Una volta avvistato grida ai pescatori sul palchetto di girare gli argani con l’espressione dialettale Viiijr (gira, gira gli argani!). Se veloci e fortunati si riescono a pescare fino a 5 quintali di pesce alla volta. il pesce che ancora si dibatte nella rete a mezz’aria viene poi recuperato con un lungo retino e portato a bordo per essere di li a poco cucinato nelle cucine del ristorante di famiglia dall’omonimo nome. il Ristorante, è un’altro punto fermo del discorso con Michele: Aperto nel 1975 da Mimì, che aveva ereditato il trabucco antistante, da suo padre, e da sua moglie Lucia, vera e inimitabile risorsa per le cucine di questo noto ristoro. Le passioni per la cucina di Lucia e per il mare di Mimì  sono fortunatamente passate prima ai figli, Carlo e Mario, e poi ai due nipoti, -io e mio fratello Vincenzo- mettendo al sicuro il futuro di uno dei luoghi più unici al mondo intero. Tempio del gusto e della cultura marinara pugliese che nemmeno l’incendio del 24 luglio del 2007 è riuscito a spazzare via. Momento ancora vivido e doloroso nella memoria di tutti, ma anche punto di partenza e di rinascita per un territorio che oggi ha politiche diverse di tutela e salvaguardia. Questa felice terra però resta una periferia d’Italia e non è facile restare e fare impresa in un territorio dove le istituzioni latitano e le politiche sociali e di sviluppo sono ancora insufficienti. Ma noi in questo territorio crediamo e investiamo il nostro tempo, e non solo -con mio fratello Vincenzo- siamo usciti a studiare, un corso di Scienze Gastronomiche, a Parma ma è qui che abbiamo deciso di mettere in pratica quello che abbiamo imparato. Io ho chiuso il mio percorso con un tesi sulla sicurezza microbiologica dell’acqua di mare utilizzata in cucina per preparare prodotti ittici da servire crudi, implementando metodi di trattamento e un piano di sicurezza aziendale per offrire oltre che un prodotto di grande qualità anche sicuro.  Mentre mio fratello Vincenzo, si è occupato di lieviti, fermentazione e champagne francesi  da servire in abbinamento al crudo di mare “sicuro” nella nuova eco-area aperitivo sugli scogli.